Da 50 minuti a 3 ore e mezza: perché gli schermi ci stanno rubando l’infanzia

Nel 2010, Steve Jobs presentò il primo iPad. Oggi, appena quindici anni dopo, un bambino italiano su tre sotto i tre anni usa quotidianamente uno smartphone o un tablet.

Il cambiamento è stato rapidissimo: nel 2015, il tempo medio davanti agli schermi per un bambino in età prescolare era di circa 50 minuti al giorno. Nel 2023, secondo l’ultima indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, siamo arrivati a 3 ore e mezza. In otto anni, il tempo è quasi quadruplicato.

I numeri parlano chiaro. Il 68% dei bambini di età inferiore ai 3 anni trascorre quotidianamente tempo davanti a uno schermo. Il 72% delle famiglie nella fascia 0-2 anni utilizza dispositivi elettronici – smartphone, tablet o televisione – durante l’allattamento e i pasti, mentre il 26% lascia che i figli li usino in autonomia.

Le linee guida

La Società Italiana di Pediatria è chiara: no agli schermi prima dei due anni, durante i pasti e prima di andare a dormire. L’uso dovrebbe essere limitato a massimo 1 ora al giorno nei bambini tra i 2 e i 5 anni. Le motivazioni riguardano il modo stesso in cui il cervello dei bambini si sviluppa nei primi anni di vita, un periodo che i neuroscienziati definiscono “critico

Come impara un bambino: il corpo che pensa

Un bambino non impara guardando passivamente il mondo. Impara facendo, toccando, muovendosi, e soprattutto osservando e imitando chi ha di fronte. Negli anni Novanta, il gruppo di lavoro del neuroscienziato Vittorio Gallese scoprì i neuroni specchio: cellule nervose che si attivano sia quando compiamo un’azione, sia quando osserviamo qualcun altro compierla. Un bambino capisce le intenzioni degli altri perché il suo cervello “simula” internamente quelle azioni. È quella che gli scienziati chiamano “cognizione incarnata”: la conoscenza nasce dall’esperienza sensomotoria, dal movimento, dall’interazione fisica.

Nei primi cinque anni di vita si formano migliaia di nuove connessioni sinaptiche attraverso l’esperienza diretta: gattonare, manipolare oggetti, guardare negli occhi chi parla, toccare superfici diverse. Lo sviluppo del linguaggio avviene osservando il volto di chi parla, vedendo come si muovono le labbra, cogliendo le espressioni facciali. La regolazione emotiva si costruisce nell’interazione diretta con l’adulto.

Le evidenze scientifiche

Uno studio del 2020 di John Hutton ha utilizzato la risonanza magnetica su 47 bambini tra i tre e i cinque anni. I risultati mostrano che i bambini con maggiore esposizione agli schermi presentavano una ridotta integrità della materia bianca cerebrale – le “autostrade” della comunicazione tra diverse aree del cervello. Quando è meno sviluppata, tutto rallenta, tutto diventa più faticoso, come su una “strada sterrata”.

Per bambini di 1 anno, trascorrere più di un’ora al giorno davanti agli schermi aumenta significativamente il rischio di ritardi in cinque aree: comunicazione, motricità grossolana, motricità fine, risoluzione dei problemi e abilità sociali.

Il linguaggio è particolarmente vulnerabile: il tempo davanti allo schermo è collegato a vocabolario e grammatica più scadenti. Nessuna attività con schermi – nemmeno quelle “educative” – sembra correlarsi positivamente con le abilità linguistiche.

L’attenzione soffre per la continua esposizione a stimoli frammentari e rapidi. La luce blu interferisce con la melatonina, compromettendo il sonno. E quando un bambino frustrato riceve sistematicamente uno schermo, non impara a tollerare le emozioni negative né a trovare strategie per affrontarle.

Pertanto, per quanto i bambini siano abili nell’interazione con gli schermi, gli stimoli offerti da questi ultimi non sono idonei (né necessari) al loro sviluppo neurologico, specie nella fascia d’età 0-3.

Consigli pratici

L’American Academy of Pediatrics propone il Family Media Plan: regole chiare condivise da tutta la famiglia. Per i bambini in età prescolare significa rispettare le soglie di tempo, ma anche definire “quando” e “dove”: niente schermi durante i pasti, un’ora prima di dormire, in camera da letto. L’importante è che le regole siano coerenti e applicate da tutti – adulti compresi.

Le alternative sono fondamentali. Il gioco libero – in cui il bambino decide, inventa, crea – è cruciale per lo sviluppo cognitivo ed emotivo. I bambini che trascorrono tempo all’aperto hanno migliori capacità attentive, minori livelli di stress, migliore coordinazione motoria.

Ma la risorsa più preziosa è il tempo insieme: mezz’ora al giorno con un genitore pienamente presente fornisce un nutrimento cognitivo insostituibile.

Le videochiamate rappresentano un’eccezione ragionevole: essendo interazioni sincrone e bidirezionali, possono mantenere legami affettivi con familiari lontani, senza esagerare.

Quando la comunità si attiva

Nel territorio emiliano stanno nascendo iniziative concrete. A Modena, il progetto Smart Kids – coordinato dal professor Antonio Persico, neuropsichiatra infantile – offre ai genitori incontri gratuiti con informazioni scientifiche e strumenti pratici.

Si sta diffondendo anche “Aspettando lo smartphone”, progetto basato su un “patto tra genitori” per ritardare la consegna dello smartphone almeno fino alla fine della seconda media. Quando le famiglie si alleano, le scelte consapevoli diventano più sostenibili.

Una sfida che continua

Le scelte nei primi cinque anni gettano le fondamenta per tutto quello che verrà dopo. Ma la questione degli schermi non si esaurisce qui. Crescendo, gli schermi cambiano faccia: diventano porte d’accesso ai social media, ai videogiochi online, alla vita digitale dei coetanei. Se è vero che tutto inizia nei primi anni, è nell’adolescenza che si gioca una partita diversa, altrettanto decisiva. Ma questa è un’altra storia.