«Se speriamo di usare la musica per migliorare la diversità biologica – e abbiamo ampie prove che suggeriscono che la diversità biologica e la diversità culturale (inclusa quella musicale) vanno di pari passo – allora dobbiamo creare nuove canzoni». Il corsivo non è mio, bensì di Sara J. Wolcott, la quale, nel suo saggio del 2016 dal titolo “Il ruolo della musica nella transizione verso una cultura della sostenibilità[1]” argomenta in favore dell’arte dei suoni come “strumento” di sostegno e di protezione della biodiversità. Certamente biodiversità è parola ormai di uso comune, ma vale la pena chiarire che con il termine si intende la varietà della vita presente sulla Terra, comprendente tutte le specie, animali e vegetali. Questa ricchezza è in crisi, progressivamente aggredita, ferita e mutilata dall’azione antropica; tuttavia, è bene ricordare che si tratta di un tassello ambientale tra i più importanti per essere davvero sostenibili, ovvero, scansando i sofismi e andando nella carne del vero, per sopravvivere come specie. Tradotto: il collasso del sistema di cui facciamo parte comporta l’ineluttabile collasso dell’umanità. Dunque, se la musica può sostenere la biodiversità, può sostenere la sostenibilità, ci dice la ricerca. Vien da chiedere: come? Prima di considerare la domanda, ritengo utile presentare un concetto che completa il corsivo di Wolcott: si tratta di “diversità bio-culturale”. In sostanza, diversità biologica e diversità linguistico-culturale aumentano e diminuiscono insieme: in presenza di pratiche scorrette, un degrado dell’ambiente corrisponde a un degrado culturale e, specularmente, in presenza di un degrado culturale, si assiste a un degrado ambientale. Chiaramente, in presenza di un miglioramento di uno dei due termini del binomio, il processo è esattamente opposto e si può auspicare un miglioramento generale. Proviamo a immaginare la nostra penisola, compiamo un volo della fantasia sul territorio nazionale, facciamo affiorare alla memoria la straordinaria varietà del paesaggio e le peculiarità di ciascuna regione: l’Italia è un territorio che (ancora) presenta una eccezionale varietà bio-culturale e, naturalmente, dobbiamo fare di tutto per evitare qualsiasi omologazione. Quest’ultimo passaggio mi porterebbe a svolgere una critica feroce del presente, con gli esiziali echi di quella che viene suggestivamente definita mcdonaldizzazione della società, termine tanto efficace quanto spaventoso. Resto invece saldo sull’obiettivo dell’articolo e torno alla domanda proposta sopra: come la musica può promuovere la sostenibilità? Prima di tutto, mettiamo a fuoco un aspetto: la musica è patrimonio dell’umanità intera e non vi è latitudine in cui non sia presente, eseguita e vibrante. Considerata a torto patrimonio degli eletti – i professionisti – o mero passatempo, divisa tra eccellenza e banalità, la musica sta invece in mezzo e si offre all’incanto dell’esperienza quotidiana. Tutti ne fanno uso, permea le nostre vite e, letteralmente, ci muove. La musica scandisce e colora i giorni, lavorando sulle nostre emozioni in modo tanto misterioso quanto efficace; per i ragazzi è materia di grande importanza, tanto che la ricerca avvisa che, anche a scuola, vorrebbero farne un’esperienza intensa, pari a quella informale svolta all’esterno delle aule. La musica è socialità, ci orienta come gruppo, prelude, accompagna e segue i grandi cambiamenti sociali, ci fa sentire uniti e dà senso al nostro agire; accende le nostre gioie e lenisce le nostre sofferenze, custodisce la memoria… in sintesi, la musica si traduce in “linguaggio comune”. Scansando la musica sostenibile intesa come eventi che impiegano tecnologie per svolgersi (concerti con pannelli solari, con sistemi di raccolta rifiuti avanzati, ecc.) desidero puntare sulla declinazione di un’arte in grado di accogliere e promuovere contenuti di salvaguardia del pianeta. Se tutti cantiamo canzoni ispiranti il cambiamento, la indifferibile, indispensabile conversione ecologica giungerà, perché diventerà “pane quotidiano”. Chi legge avrà memoria de Il ragazzo della via Gluck, famoso brano del 1966 interpretato da Adriano Celentano. «Là dove c’era l’erba ora c’è una città, e quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà?». Un caso tutto sommato raro, di cui rimane traccia nella memoria e nel cuore. Pensiamo di stare immersi in continui, positivi e coinvolgenti richiami alla causa climatica, all’equità sociale, alla pace, alla transizione energetica, alla tutela delle specie, brani come manifesti, sulla bocca di tutti; musica che impregna le nostre esistenze, anche nelle aule, che non appesantisce, ma solleva verso uno scopo collettivo. Affiora così una parola magica: educazione. Contrariamente a ciò che si pensa e che il sistema che ci comprende, schiaccia e spreme sostiene, non siamo nati per produrre, né per competere; l’umanità ha prosperato ed è cresciuta – non in termini quantitativi, bensì qualitativi! – grazie al mutuo sostegno, alla condivisione, all’appoggio reciproco. Si tratta perciò di educare, cogliendo il senso intimo del termine: traendo cioè fuori il meglio di noi, che già in noi alberga. Attraverso nuove canzoni in grado di parlare del bello di cui siamo custodi, l’umanità può fiorire; non è follia, né puerile convinzione, ma lucida utopia, l’unica via percorribile. Non sarà la tecnologia a salvarci, né le edulcorazioni del modello imperante; sarà un cambio culturale profondo, una riscoperta della nostra capacità di armonizzarci tra noi e con il tutto. Desidero concludere attingendo all’apertura del brano in precedenza citato: «Questa è la storia di uno di noi». Solo allontanandoci dall’individualismo, guardando l’altro come fratello chiunque sia, cioè accogliendo in famiglia animali non umani e vegetali, potremo cambiare il mondo. Siamo diversi, è vero; tuttavia, la biodiversità insegna che la differenza non è difetto, ma rigoglio, beltà, varietà e, in ultimo, vita. La musica si nutre di contaminazioni – buone, nel caso… – ed è in grado di mettere a sistema il meglio, continuamente rinnovandosi. Siamo la generazione che, gloriosamente, può cambiare la storia dell’umanità, o indegnamente concluderla; sta a noi decidere. Nel primo caso, avremo canzoni da intonare.
[1] Titolo originale è “The role of music in the transition towards a culture of sustainability”.
